Una visita al Museo di Langhirano e, immediato, un messaggio: “Il mio prosciutto può stare bene solo qui, dove tanti lo possano vedere. Inutile che resti a casa mia”.
Queste le semplici parole che raccontano la storia di un dono. Quello offerto dallo scultore Marcello Rigucci al Museo del Prosciutto. Un prosciutto “estratto” dalla materia calcarea di un sasso dell’Appennino e destinato a raccontare la metafora della vita a tutti i visitatori che ogni anno transitano dal museo dedicato al re dei salumi parmigiani.
Nato nel 1951 a Città di Castello (PG), Marcello Rigucci si trasferì ancora molto giovane a Firenze per gli studi e si diplomò in meccanica. Il suo lavoro di tecnico civile elettromeccanico lo ha portato a girare il mondo a bordo delle grandi navi della Marina Italiana. Nel Duemila la pensione lo porta alla scoperta della lavorazione della pietra nel suo casale nei dintorni di Città di Castello.
Il vivido e forte ricordo dei suoi viaggi, degli approdi e delle traversate è determinante per la comprensione e la esegesi delle sue opere.
Elementi eclettici, lontani, a prima vista avulsi da questa terra, si fanno veri e si imprimono nella fissità archetipica della pietra: dalla grecità classica ad influenze aborigene ed africane, fino agli Incas e Maia d’America e ai Moai dell’isola di Pasqua.
Le sue opere sono una teoria di simboli primordiali legati alla storia universale dell’uomo.
Curioso trovare un ricercatore ed un artista così ecumenico sulle falde dell’Appennino umbro-marchigiano. “Tra le montagne più antiche del mondo, dove la terra si impasta alla pietra ed il pensiero si fa puro”.
E’ qui che scaturisce il pensiero che dà vita alle sue opere: interpretare la pietra, seguire le sue forme, le sue vene ed i suoi nodi; assecondare la sua natura, in un libero creativo concorso di realtà ed immaginazione. è la forma primaria a dover essere rintracciata nella materia. Che in essa è già contenuta. Le idee non si generano, si scoprono: “passo del tempo a fissare, quasi ad interrogare, le mie pietre, come se custodissero un segreto, il segreto della forma, appunto”.
Il prosciutto di pietra serena, realizzato nel 2014 ha le dimensioni di quello vero, figlio della tradizione millenaria dei norcini, per intenderci quello di un maiale da 180 chili: pesa circa 25 kg, è munito di spago per appenderlo e lo completa un coltello di legno, che “vola” nell’atto del taglio.
Consegnato ai Musei del Cibo il 20 maggio, è stato ufficialmente presentato al museo il 2 settembre 2017, in occasione dell’annuale Festival del Prosciutto.