Di Daniela Brignone
Il cammino dell’addomesticamento culturale e quindi alimentare del maiale è durato molti secoli e ha incontrato forti resistenze lungo il suo cammino. Alla fine del Cinquecento venne pubblicato uno dei capisaldi della letteratura sul porco di tutti i tempi, l’opera dall’inequivocabile titolo elogiativo L’eccellenza et il trionfo del porco, edita nel 1594 da Salustio Miranda, pseudonimo di quel Giulio Cesare Croce anche autore di Bertoldo e Bertoldino. Simbolo dell’abbondanza, buono da mangiare e allo stesso tempo incarnazione di virtù morali e intellettuali, il maiale era finalmente riscattato da secoli di pregiudizi e tabù negativi.
L’emancipazione morale oltre che fisica del porco ebbe un’ulteriore tappa nel secolo successivo, con la pubblicazione del volume di Vincenzo Tanara L’economia del cittadino in villa (1° edizione nel 1644). Il testo di cucina ed economia domestica del Tanara descriveva l’uccisione del porco domestico, i metodi di cottura in “centodieci maniere di farne vivande”, le razze, i tagli ed al termine riportava la trascrizione di una filastrocca, sino ad allora tramandata oralmente, dal titolo “Il testamento del porco” (1). La trascrizione di una memoria orale, già testimone del valore attribuito al maiale e della riconoscenza popolare ad esso deputata, ebbe un effetto moltiplicatore della sua fortuna.
Terzo passaggio fondamentale della letteratura moderna sul maiale, dopo le opere del Croce e del Tanara, è quella data alle stampe nel 1761 dall’abate modenese Giuseppe Ferrari, celato sotto lo pseudonimo di Tigrinto Bistonio. Ne Gli elogi del porco, il Ferrari si sofferma in particolare sulla ricchezza di spunti gastronomici derivati dalla carne suina, con ampi riferimenti alla tradizione salumiera locale.
Le antologie di letteratura suinofila s’interruppero perlopiù qui, alle soglie dell’età contemporanea, quando la riflessione sul maiale si canalizzò in due vie disgiunte ma interdipendenti, rappresentate da una parte dai trattati di cucina e dai ricettari, in cui il maiale conquistava via via più spazio ed attenzione come ingrediente base di piatti regionali, e dall’altra parte dai manuali di zoologia, di zootecnia, di veterinaria o di salumeria pratica, che dalla seconda metà dell’Ottocento classificarono le razze suine e teorizzarono sui diversi sistemi d’allevamento e di lavorazione delle carni. Tra la fine dell’Ottocento ed il primo Novecento, ad esempio, la casa editrice Hoepli – i cui manuali segnarono il trapasso dalla civiltà contadina, basata su metodi empirici e tradizioni orali, alla civiltà industriale, desiderosa di razionalizzare il sapere attraverso la scrittura (2) – diede alle stampe due manuali sul maiale, in cui erano affrontate le tematiche dell’allevamento e dell’industria ma anche quelle legate all’esercizio pratico della professione del norcino (3).
La pubblicistica ottocentesca e novecentesca, prevalentemente rappresentata dai due filoni citati, esprime, a nostro parere, il punto finale del processo di addomesticamento del maiale, che, come vedremo meglio in seguito, passò dall’allevamento allo stato brado nei boschi d’uso comune nel Medioevo alla chiusura intra muros dei suini nelle città in epoca moderna, per giungere all’allevamento stabulare su larga scala in età contemporanea, al servizio dell’industria di lavorazione delle carni suine e dell’approvvigionamento dei mercati urbani.
Non a caso, nell’iconografia otto e novecentesca il maiale è raffigurato in forma per lo più metaforica e caricaturale, in cartoline augurali o nella stampa satirica, ormai svincolato dalle sue radici antropologiche, che lo vedevano connesso ai ritmi della vita contadina o ad esigenze puramente alimentari.
Sul fronte dei consumi, con la seconda metà del Cinquecento il consumo di carne in Europa, pur con notevoli differenze nazionali, entrò in una lunga fase di depressione, da cui ancora nel Settecento non si era ripreso, sebbene la rivoluzione agraria avesse aumentato la quantità totale di bestiame disponibile. Il clima illuministico diede il colpo di grazia ai valori legati al consumo della carne quali potere, forza, nobiltà, rafforzando la posizione leader detenuta dai cereali nella dieta europea fino alla metà dell’800.
Vedremo come, per un insieme di cause legate alla rivoluzione industriale ed all’innovazione tecnologica, l’Europa assisterà ad un’inversione di tendenza che porterà al ridimensionamento del consumo di cereali ed alla crescita dei consumi carnei a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Come per altri comparti dell’industria alimentare, saranno allora maturi i tempi della trasformazione industriale della lavorazione delle carni suine…
1 Leggiamo in Porci e porcari nel medioevo, a cura di M. Baruzzi e M. Montanari, Bologna, Clueb, 1981, p. 73, che secondo San Girolamo, vissuto tra il IV e il V secolo, la filastrocca era recitata dai bambini.
2 Sui manuali pratici e d in particolare sui manuali Hoepli, si veda A. Capatti, Lingua, regioni e gastronomia dall’Unità alla seconda guerra mondiale, in Storia d’Italia, Annali 13, L’alimentazione, Torino, Einaudi, 1998, pp. 753-801 e A. Assirelli, Un secolo di manuali Hoepli, Milano, 1982; per i ricettari si veda invece M.P. Moroni Salvatori, Ragguaglio bibliografico sui ricettari del primo Novecento, in Storia d’Italia, Annali 13, cit., pp. 887-925.
3 Ci riferiamo al manuale redatto da C. Marchi in più edizioni, dal titolo Il Maiale, Milano, Hoepli, 1897 e al manuale del Faelli, Il maiale. Razze – allevamento – industrie, Milano, Hoepli, 1911.