Il Sentiero d’Arte è una passeggiata nella contemplazione e bellezza, lungo il canale San Michele e i vigneti dell’antica Torcularia.
L’itinerario muove dall’abbazia rinascimentale con la chiesa di Santa Maria della Neve e collega Torrechiara a Langhirano in un percorso naturalistico in cui luci e atmosfere del paesaggio sono interpretate attraverso le opere di artisti contemporanei.
Un viaggio di conoscenza del territorio nella relazione di paesaggio, storia e arte, fino alla scoperta delle eccellenze vinicole e di quelle gastronomiche di Langhirano, “capitale del prosciutto”.
Il percorso si snoda in un paesaggio di pregio, costeggiando il Canale di San Michele e attraversando boschetti, campi coltivati e vigneti. La sua percorribilità è stata resa possibile grazie alla disponibilità dei proprietari frontisti.
Ti chiediamo di percorrerlo rispettando l’ambiente, le coltivazioni e le opere d’arte installate.
Ti invitiamo a prestare attenzione, soprattutto se hai dei bambini con te, nei tratti che costeggiano il canale.
Scarica l’app collegandoti al sito: www.sentieroditorrechiara.it
L’itinerario
L’itinerario comprende la visita della Badia e della chiesa di Santa Maria della Neve, sul torrente Parma, a est del paese di Torrechiara. Nel rispetto delle regole monastiche, il luogo sarà aperto tutti i giorni dalle 9,30 alle 12 e dalle 16 alle 17 ad eccezione del giovedì e della domenica mattina.
Saranno visitabili anche le antiche cantine sotterranee, costruite con tecniche antiche e recentemente restaurate.
La badia benedettina fu costruita per volere di Pier Maria Rossi nel 1471 e dedicata a Santa Maria della Neve: due anni dopo, su istanza del feudatario, Sisto IV concesse la costruzione di un convento annesso alla badia, che fu popolata da una ventina di monaci della Congregazione di Santa Giustina di Padova. La consacrazione avvenne nel 1479. Chiuso nel 1810, reintegrati i Monaci da Maria Luigia nel 1816, richiuso nel 1866 e venduti i beni, i monaci rientrarono nel convento nel 1889.
La chiesa di Santa Maria della Neve ha facciata a capanna, con le sene e fregio ad archetti pensili ciechi e sopra ad archetti intrecciati, che continuano sul lato destro. Portale in stile sforzesco con rosone, leggermente decentrati verso sinistra. Campanile con cornici marcapiano, bifore chiuse e cella campanaria del terzo decennio del XVII secolo. Interno a due navate con due cappelle sul lato destro, volta a crociera del XVII secolo, che sostituiscono le originarie capriate, operazione che comportò la sopraelevazione dell’edificio, riscontrabile in facciata.
Resta un solo affresco del XV secolo, una Madonna con Bambino sul pilastro che separa le due cappelle (Francesco Tacconi o Jacopo Loschi).
Il resto delle decorazioni è di Tommaso Aldrovandini (seconda metà del XVII secolo): Resurrezione, Adorazione dei Pastori, Miracolo della Madonna della Neve, Incoronazione della Vergine.
Sopra l’altare (XVI sec.) è un Miracolo di San Mauro (XV sec.).
Coro ligneo del XVI secolo, qui portato nel 1621 al tempo della costruzione della cella campanaria
Dalla Badia si può proseguire (se in auto comodi parcheggi ai lati della piazza principale) fino al paese di Torrechiara, ammirarne la piazzetta recentemente restaurata e riportata al ruolo che aveva fino agli inizi del Novecento: cuore della vita della comunità e luogo di partenza per itinerari storici, naturalistici e gastronomici.
Ridisegnata per una fruizione pedonale su progetto degli architetti Paola Cavallini e Stefano Della Santa e inaugurata nell’estate del 2019, è racchiusa dai caratteristici portici con archi a tutto sesto, che ospitano le antiche botteghe. Sul lato est si apre l’Oratorio di San Rocco, costruito nel 1579 con facciata della fine dell’Ottocento. Sul lato occidentale svetta la targa marmorea che ricorda i Caduti della prima e della seconda guerra mondiale. Tra questi figura il nome di Luigi Leoni, falegname e barbiere del paese, ferito ad un polmone dai nazifascisti nel settembre del 1944 e deceduto due giorni dopo in ospedale, a cui è intitolata la piazza.
A lato della piazzetta Leoni, si snoda la strada che porta al castello dei Rossi, uno degli esempi più significativi dell’architettura castellana italiana. Fu scenario della delicata storia d’amore fra Pier Maria Rossi e Bianca Pellegrini. La vocazione residenziale del complesso è provata dalla ricchezza degli affreschi a grottesche di Cesare Baglione e dal cortile d’onore. Straordinaria la Camera d’Oro, affrescata da benedetto Bembo, che celebrava a un tempo l’amore per Bianca e la potenza del casato dei Rossi, attraverso la rappresentazione di tutti i castelli del feudo. Il castello è visitabile in tutti i mesi dell’anno (info e orari > www.beniculturali.it) e aperto gratuitamente la prima domenica di ogni mese.
Il castello di Torrechiara, uno dei più noti della provincia parmense, venne fatto costruire tra il 1448 ed il 1460, sui resti di precedenti fortificazioni, da Pier Maria Rossi (1413-1482), conte di San Secondo, il cui feudo si estendeva per gran parte delle valli del fiume Taro e dei torrenti Parma e Baganza, contando numerose rocche e borghi fortificati che furono rappresentati uno ad uno negli affreschi dello stesso castello.
Condottiero dei Visconti, alla raffinata corte milanese Pier Maria si avvicinò agli studi umanistici e conobbe la nobile Bianca Pellegrino, moglie di Melchiorre d’Arluno, con la quale, pur essendo a sua volta già sposato con Antonia Torelli di Montechiarugolo, si legò in un rapporto durato per tutta la vita, e che egli fece celebrare dal pittore Benedetto Bembo nei famosi affreschi della Camera d’Oro di Torrechiara.
Il nome del castello deriverebbe da un toponimo – Torciara – originariamente legato alla presenza nella zona di numerosi torchi da olive. Solo nel XV secolo diventerà Turris Clara, in riferimento all’elegante costruzione che ancora oggi domina la valle con le sue quattro torri merlate. Nel 1470 il castello ricevette l’investitura ufficiale da parte di Galeazzo Maria Sforza, ma già nel 1483 fu assediato dalle truppe di Lodovico il Moro, da cui Pier Maria, rifiutatosi di giurare fedeltà dopo l’ascesa al potere del nuovo signore, era stato dichiarato traditore del ducato. Rifugiatosi nel castello, il condottiero vi trovò la morte nello stesso anno. La rocca si arrese e venne assegnata alla famiglia Pallavicino. Nel corso dei secoli XVI e XVII, venuta meno la funzione difensiva e di presidio militare, Torrechiara fu ampliata e trasformata in una sontuosa residenza di campagna: a questa fase risale la costruzione delle due ampie logge panoramiche, una delle quali accessibile dalla Camera d’Oro, da cui si ammira lo splendido paesaggio della valle circostante. I nuovi ambienti vennero decorati con eleganti motivi a grottesca dal pittore Cesare Baglione e dalla sua cerchia.
Nel 1912 il castello, dopo la vendita e la dispersione di gran parte degli arredi, fu ceduto dall’ultimo proprietario, Pietro Cacciaguerra, allo Stato Italiano.
L’anno precedente, per il padiglione dell’Emilia-Romagna all’Esposizione Nazionale ed Etnografica di Roma, era stata realizzata una completa ricostruzione della Camera d’Oro, con il rifacimento degli arredi perduti in stile neogotico e liberty. L’insieme, di pregevole fattura, è oggi riallestito ed esposto in una delle sale al piano nobile del castello.
L’impianto del castello, posto sulla sommità del colle nel cuore di un piccolo borgo fortificato, è costituito da una doppia cinta di mura che racchiude una corte rettangolare con quattro torri angolari: a Nord la Torre del Leone, così definita per lo stemma dei Rossi; a Est la Torre della Camera d’Oro; a Sud la Torre di San Nicomede, che prende il nome dalla presenza dell’omonima cappella, e a Ovest la Torre del Giglio, dall’insegna araldica di Bianca Pellegrino. L’ingresso, posto a Sud-Ovest, immette direttamente nella corte, che presenta un lungo lato (sud-est) porticato, con archi a sesto ribassato su colonne in muratura, con capitelli e basi in arenaria scolpita, al di sopra del quale si apre un arioso loggiato. L’aspetto attuale della corte si deve ai restauri compiuti nel corso del XX secolo. Inoltre essendo il castello più spettacolare e strutturato della provincia di Parma è spesso usato come set cinematografico di film (come Donne e Soldati di Antonio Marchi del 1954 con Marco Ferrei o Ladyhawke di Richard Donner del 1985, interpretato da Michelle Pfeiffer, Matthew Broderick e Rutger Hauer) o quale sede di spettacoli estivi tra i quali il Festival dedicato a Renata Tebaldi.
Dall’area sottostante il castello si accede al Sentiero d’Arte, un percorso libero e accessibile a piedi che si snoda lungo il corso del Canale di San Michele, tra vigneti e campi coltivati e arriva, attraverso una lussureggiante galleria vegetale, fino alle porte di Langhirano.
Durante la camminata in un ambiente romantico, rimasto intatto nel tempo, i visitatori incontreranno dieci installazioni d’arte contemporanea, create appositamente per il sito, in convivenza con il paesaggio circostante. Una app per dispositivi mobili permette di avere una guida puntuale lungo il percorso e di approfondire vari aspetti del territorio circostante.
Danilo Cassano è nato ad Anzola Emilia il 21 luglio 1953. Vive e lavora a Castelfranco Emilia (MO). Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna e insegna discipline plastiche presso il Liceo artistico di Parma.
La sua ricerca scultorea deriva dall’accostamento di materiali desueti con forme e rilievi plastici, con cui spesso rivisita miti e narrazioni classiche.
Sinottica di Primavera, ferro, cm 60x80x260 – 2020
Come per l’altra opera Genesi, posta alla fine del percorso, l’aspetto formale è leggero, recupera il vuoto plastico per inglobare al suo interno il paesaggio circostante. Una pagina metallica su cui sono annotate le forme di rinascita della natura (germogli, forme vergini e sinuose). Sono visibili alcuni simboli astratti, racconto delle forme della natura stessa.
Mirta Carroli è nata a Brisighella (RA) nel 1949, vive e lavora tra Bologna e Milano. Dopo gli studi Artistici al Liceo artistico e all’Accademia di Belle Arti di Bologna, insegna Discipline Plastiche presso il Liceo artistico e Didattica dell’Arte all’Accademia di Belle Arti della stessa città. Ha iniziato ad esporre nel 1984 con numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero ed ha al suo attivo diverse sculture di grandi dimensioni.
Il suo lavoro e la sua poetica si incentrano sullo studio di forme ancestrali, quasi primordiali, risalenti sia al mito che alla vita dell’uomo, evocative delle antiche civiltà.
La sua ricerca si nutre di sedimentazioni e riflessioni sul tempo, ispirata dalle antiche civiltà.
Assembla materiali e colori contrastanti, talvolta riutilizzando elementi appartenenti alla tradizione rurale. La sua poetica accoglie lo studio di forme ancestrali, quasi primordiali, risalenti sia al mito che alla vita dell’uomo.
Seguendo il volo dei rotori, acciaio cor-ten, cm 200x300x150 – 2020
Nelle colline parmensi di Langhirano tra filari di viti e canneti, a fianco del castello di Torrechiara ho progettato una scultura in acciaio cor-ten. È formata da tre totem, che si elevano verticalmente, due dei quali portano nella parte superiore una feritoia dove sono inseriti due “rotori” di acciaio. Sono due elementi ad elica progettati dall’ingegnere Paolo Cavatorta per macchinari industriali.
Costituiscono un elemento di forza evocativa e di appartenenza a questa terra. È scaturito un interessante rapporto di contrasti cromatici e volumetrici fra opacità e lucentezza dei metalli. La costante presenza del magnifico castello nel paesaggio, con i suoi possenti ed armoniosi volumi hanno fortemente influenzato ed ispirato la progettazione di questa scultura.
Graziano Pompili è nato a Fiume (Istria) nel 1943; tre anni dopo la sua famiglia si è trasferita a Faenza, dove Pompili ha ricevuto la sua prima educazione artistica, apprendendo soprattutto l’uso della terracotta e della ceramica. Frequentando l’Istituto d’Arte di questa città, Pompili segue il suo principale maestro, Biancini, che gli trasmette fin da ragazzo il desiderio di fare scultura. In seguito frequenta l’Accademia di Belle Arti di Bologna dove impara la scultura e l’incisione. Dal 1970 soggiorna per lunghi periodi a Carrara, dove apprende la lavorazione del marmo, mentre si applica nell’uso della cera e della fusione in bronzo nelle fonderie di Pietrasanta. Si dedica alla didattica, insegnando dapprima ceramica e plastica all’Istituto d’Arte “Chierici” di Reggio Emilia, poi scultura in marmo all’Accademia di Belle Arti di Bologna ed infine scultura riferita all’arte sacra all’Accademia di Brera a Milano. Pompili ha realizzato negli anni numerose mostre personali in gallerie pubbliche e private in Italia e all’estero. Sue opere fanno parte delle collezioni di diversi musei d’arte contemporanea italiani. Vive e lavora a Montecchio Emilia (RE).
Gli esiti delle sue ricerche lo portano ad una visione ancestrale della “casa” che viene vista come un emblema di solitudine e di fuga dal mondo. Luogo dove fare ritorno, rifugio dove le nostre radici sono conficcate tra la terra e il cielo.
Il borgo, ferro in barre e lamiera verniciata, smalti, catrame, cm.140×140xh320 – 2020
L’opera è ispirata all’omonimo borgo di Torrechiara ai piedi del castello. Rappresenta un luogo di vita di una piccola comunità e viene evocato attraverso volumi e geometrie architettoniche.
Il colore celeste/azzurro posto sui fabbricati stagliati verso il cielo contrasta con il nero catrame della parte a contatto con il terreno. L’opera è ubicata in un tratto panoramico che consente un ampio sguardo sul percorso.
Giovanni Sala nasce a Sabbioneta (MN) nel 1947, consegue il diploma di Maestro d’Arte all’Istituto d’Arte di Parma. Nel 1971 si trasferisce a Milano, dove lavora come grafico alla rivista “Vogue”. In seguito a Bologna sarà il creativo di una nota agenzia pubblicitaria. Ritornato a Parma, per un decennio insegna disegno professionale all’Istituto d’Arte “Paolo Toschi”. Ha organizzato la prima e la seconda biennale Internazionale d’Arte contemporanea a Sabbioneta 2008-2010.
Vive e lavora Parma.
Il suo percorso artistico è intriso di un linguaggio allusivo riferito all’arte classica ed alle avanguardie. Una narrazione nel segno e nella materia, le resine i catrami aprono inedite luci, fluide mescolanze dissacranti che allontanano l’aura antica della tradizione.
Presenze, ferro, sassi di fiume, diametro cm 90, h cm 270 – 2020
La scultura presso il canale è una torre metallica leggermente rastremata alla sua estremità, contiene sassi raccolti presso il sottostante torrente Parma. Svetta e si erge sul paesaggio circostante, dichiara un segno di forte tensione. Appare proteggendo metaforicamente i “doni” e ed i volumi di un territorio millenario. Un faro solitario che vigila trasmettendo nella propria trama metallica, contrasto ed equilibrio.
Candida Ferrari nasce a Parma nel 1943. La sua formazione artistica avviene a Milano, dove si diploma con Guido Ballo all’Accademia di Brera con una tesi su Atanasio Soldati. Vive e lavora a Parma.
Il suo percorso artistico è caratterizzato dall’uso di materie plastiche trasparenti dipinte e modellate. Nel 1996 inizia la sua ricerca sul tema della luce.
Abbandona i limiti imposti dalla cornice per dipingere su carte speciali: plexiglass e acetati sovrapposti o modellati, su cui interviene con velature di colore. Le opere catturano e restituiscono i cambiamenti cromatici con effetti lirici ed emotivi.
Nido d’aurora, acciaio, plexiglass, smalti, cm 150 x 250 – 2020
Vera sfida portare l’arte contemporanea in uno spazio come il canale San Michele. Silenzioso, ritmato dalla vita contadina, irriga e nutre la terra con la sua acqua… Perché queste opere così forti? Perché non accorgersi di questi segreti rapporti?
La forza di queste installazioni farà germogliare bellezza dando nuova vita… Ho pensato all’aurora di ogni giorno su questo sentiero (da qui il titolo Nido d’aurora), vi saranno voli di uccelli, bisbigli, risate, soffi di venti tra i rami… Le nostre opere rimarranno baluardo e difesa!
Alberto Vettori è nato a Parma, dove vive e lavora e si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Negli anni 1980-1984 gestisce, insieme ad un gruppo di artisti, uno spazio laboratorio nel centro di Parma (quadrato trasparente), la cui ricerca è orientata nella direzione della pittura d’ambiente. Ad interventi ambientali basati sui rapporti spazio, luci e segno pittorico si alternano esposizioni personali, performance di poesia e teatro.
La sua ricerca pittorica lo conduce a ricercare i significati nascosti e reconditi dei materiali su cui lavora. I passaggi di stratificazioni e velature si sovrappongono ai segni e a pigmenti oleosi, elaborando una poetica fondata su relazioni tra minime percezioni, “memoria dell’attimo”.
Progetta allestimenti ed interventi in luoghi e in contesti inediti: ha esposto in fabbriche dismesse, parchi, edifici storici, dimore private.
Natura sembiante, due lastre metalliche, specchi, smalti, cm 200×50 per elemento – 2020
L’opera sul canale è costituita da due lastre metalliche rettangolari. Poste sull’argine orizzontalmente, riflettono nel loro interno, con due specchi sagomati a forma di asse di legno, la metamorfosi dei cicli della natura circostante.
Le mutazioni luminose interagiscono sui segni pittorici presenti nell’opera, l’osservazione reagisce in un continuo cambiamento temporale di sovrapposizioni: una presenza apparente e mutante che ha origine dall’esterno. La riflettenza accoglie una narrazione continua, scorrimento del “tempo dissimile” lungo il canale.
Alberto Timossi è nato a Napoli 1965, si è formato fra Genova e Carrara dove ha frequentato la scuola di scultura dell’Accademia di Belle Arti. Vive e lavora a Roma, dove insegna al Liceo artistico.
Da qualche anno si interessa di arte ambientale realizzata con materiali derivanti dall’edilizia (tubi in PVC lavorati con la fiamma e lo smalto). Dopo aver allestito opere in contesti urbani, ex strutture industriali e centri storici, la sua ricerca si è orientata con decisione verso l’installazione scultorea nella natura. L’ambiente che si modifica a causa del progresso, e che spesso subisce i danni del cambiamento climatico, diventa il centro del suo interesse.
Ha elaborato numerosi interventi sul territorio installando le proprie opere in contesti di grande suggestione espressiva. Un dialogo visivo e comunicativo costante tra le sculture e l’ambiente, un flusso di energie e suggestioni trasmesse nei più diversi contesti.
Altro bosco, PVC smaltato, basi di ferro, 5 elementi h. cm 350, diam. cm 25 – 2020
Un intervento sul limite del boschetto, nello spazio incerto dove cambia l’assetto del territorio, dove l’ambiente da prato si trasforma in bosco. Il limite è un luogo particolare dove si verificano gli episodi dell’incertezza e della trasformazione.
Una natura, tenuta in scacco dai cambiamenti, manifesta, lungo il canale, una terza via paradossale e provocatoria, dove l’albero perde la sua essenza biologica e vitale e assume una prospettiva di elemento industriale, ma non bello ed efficiente, quanto piuttosto scarto, figlio minore del progresso tecnologico, modellato con le sinuosità e le battute, forse casuali, di un forzato adattamento ambientale. L’opera rappresenta e propone quindi il rischio di assistere ad un cambiamento, scoprire, fra i rami e le foglie, la presenza di un “altro bosco”.
Diplomata al Liceo artistico e all’Accademia di Belle Arti “Cignaroli” di Verona, vive e lavora a Mantova. Dagli anni novanta la sua ricerca si dirige sempre di più verso la produzione di oggetti enigmatici e simbolici che, anche grazie all’utilizzazione dei materiali più disparati e innovativi, sottolineano la labilità del confine tra arte e vita e nella rivisitazione delle forme di oggetti quotidiani. Approda sui terreni della Land Art, espone installazioni abitando e arricchendo il territorio, consapevole che l’arte rivisita i luoghi, ne ripristina l’antica bellezza, esercitando la sua originaria funzione pubblica e urbana. Si occupa anche di grafica editoriale, realizza campagne grafiche e loghi a livello nazionale per aziende ed enti.
Cèntina, metallo cromato, resina, cm 500 x h. 270 x 90 diametro – 2019
La sinuosità della forma ci accoglie nella trasparenza e nella porzione di paesaggio… diviene così sospensione e mutamento. Geometrie trasparenti appaiono nella trama degli sguardi, palpebra immobile ricondotta nella sua armonia ad avvicinare e a sovrapporsi alla bellezza della natura circostante. Si offre al cambiamento, ai mutamenti stagionali, colori e forme in tutte le sue armoniche modificazioni.
Oscar Accorsi è nato a Correggio (RE) nel 1958. Ha studiato composizione musicale con Salvatore Sciarrino all’Accademia Musicale Città di Castello (PG). Nel 1985 si diploma in “Strumentazione per banda”, e nel 1987 si diploma in “Musica corale e direzione di coro” presso il conservatorio G.B. Martini di Bologna. Ha lavorato come direttore d’orchestra e compositore indagando, con questi ultimi, soprattutto il rapporto tra la percezione del suono e la sua organizzazione.
Dal 1993 alla sua ricerca si aggiunge una attività di arte compositiva per coordinare il suono, la materia e la luce in un teatro unico, con implicazioni evidenti. Al suo attivo ha numerose mostre personali e collettive in Italia, Belgio e Stati Uniti. Da qualche anno ha allargato ulteriormente i propri orizzonti affrontando la produzione di video e il loro uso dal vivo
Oggi vive e lavora a Traversetolo (PR). Artista poliedrico, si muove tra musica e scultura e i nuovi linguaggi digitali, portando la sua ricerca poetica, sintesi unica di questo complesso percorso, nelle scuole dove insegna, in teatro e nelle opere che realizza.
Voronoi, ferro zincato, moduli cm h. 340x 50×30 – 2020
L’opera permette di affrontare lo spazio e di “pensare alla scultura” attraverso il fluire della luce in presenza non di volumi ma di perimetri lineari, tracciati essenziali di una tensione verso l’invisibile, non priva di rarefatte sonorità disvelate sulla soglia indeterminata del visibile.
Vive e lavora a Castelfranco Emilia (MO). Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna e insegna discipline plastiche presso il Liceo artistico di Parma.
La sua ricerca scultorea deriva dall’accostamento di materiali desueti con forme e rilievi plastici, con cui spesso rivisita miti e narrazioni classiche.
Genesi, ferro, cm 60x60x360 – 2020
Come per l’altra opera Sinottica di Primavera, posta all’inizio del percorso, l’aspetto formale è leggero, recupera il vuoto plastico per inglobare al suo interno il paesaggio circostante. Una pagina metallica su cui sono annotate le forme di rinascita della natura (germogli, forme vergini e sinuose). Sono visibili alcuni segni di simboli astratti, racconto delle forme della natura stessa.
Antonella De Nisco, nata a Bassano del Grappa (VI), vive e lavora a Reggio Emilia. Laureata in Storia dell’Arte presso l’Università di Parma, diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna e Alta Formazione Universitaria in Didattica Laboratoriale presso Alma Mater Studiorum Università di Bologna, l’artista affianca alle attività espositive la realizzazione di progetti, installazioni site-specific, eventi e lezioni.
Insieme a Giorgio Teggi ha ideato il LAAI, Laboratorio di Arte Ambientale Itinerante, con il quale realizza, insieme a gruppi di cittadini/e, installazioni territoriali intrecciate, tessute, assemblate.
È autrice di articoli e ricerche sulla formazione e la didattica dell’arte. Dal 2014 cura Arte Fluviale presso il LidoPO di Guastalla (RE) e collabora con la Scuola d Paesaggio Emilio Sereni di Gattatico (RE).
Marino, rame, rete – 2021
Marino, come il vento della Liguria, è la nuova scultura di Antonella De Nisco, collocata nel settembre 2021 al confine tra l’urbanizzazione del paese e l’incanto paesaggistico del Canale San Michele. Nel tempo costituirà un forte legame con la vegetazione del luogo e armonizzerà nell’immaginario le percezioni sensoriali dei quattro elementi: aria, acqua, terra e infine il fuoco generatore dello spirito dell’arte. L’opera si colloca in un luogo simbolico, nel punto di accesso del sentiero più vicino a Langhirano, dove i valori del paesaggio incontrano quelli del “lavoro”, trovandosi alle spalle della sede del supermercato Lidl di Langhirano.
“… I suoi intrecci uniscono la forza della terra alla leggerezza del cielo, sono esposti all’aria e al vento (anemos) dell’anima. Segnano con il loro svolgersi l’accadere delle cose: i fili si tirano e si intrecciano, inglobano altri materiali …” (Giuliana Bartoli).
Il Sentiero d’Arte che costeggia il Canale di San Michele sfocia in strada della Torre, che scende perpendicolare al percorso e conduce, in pochi passi su tracciato ormai asfaltato, alla rotatoria di ingresso al centro di Langhirano.
Il cuore dell’abitato, che sorge in prossimità del torrente Parma, è circondato dai caratteristici fabbricati in cui le cosce di maiale vengono lavorate e poi stagionate. I salumifici – i primi furono costruiti all’inizio del Novecento – sono disposti perpendicolarmente rispetto al torrente per poter sfruttare meglio, attraverso le tipiche finestrature alte e strette, l’aria necessaria alla stagionatura dei prosciutti. Oggi, questa tipologia architettonica rimane il segno di un’importante tradizione artigianale, ma non è più funzionale al processo produttivo, perché quest’ultimo è cambiato negli anni Trenta del Novecento, con l’introduzione delle celle frigorifere, e poi, negli anni Cinquanta, con la possibilità di controllare l’aria così da garantire la produzione del re dei salumi nell’arco di tutto l’anno.
Il Palazzo del Municipio, di antiche origini castellane (il primo nucleo dell’edificio venne fatto edificare nel XIII secolo per il capitano del vescovo Grazia), ma risalente, nell’attuale struttura, ai primi anni del Seicento, s’impone al centro dell’abitato per la sua solenne architettura esterna, tipica della “villa” di epoca farnesiana, a pianta quadrata con basamento a scarpa, quattro torrioni angolari e due ordini sovrapposti di triplici arcate a tutto sesto sostenute da colonne in arenaria, nella facciata e sul retro. In facciata, una bella epigrafe scolpita ricorda Faustino Tanara, il valente patriota e colonnello garibaldino langhiranese, mentre il vicino Centro Culturale ospita il Museo del Risorgimento, a lui intitolato, che conserva cimeli, documenti e lettere, tra cui la ricca corrispondenza epistolare che Tanara tenne con i principali protagonisti del movimento risorgimentale italiano, Garibaldi e Mazzini, di notevole interesse storico-documentale.
In fronte alla strada della Torre, si incontra il Prosciuttificio dei Fratelli Galloni, uno dei numerosi impianti esistenti a Langhirano dedicati alla produzione dei prosciutti, che propone visite guidate e degustazioni.
Alla sinistra del prosciuttificio si scorge l’antico complesso del Mulino del Piano, già documentato da una mappa del 1555, ma verosimilmente già esistente nel XV secolo. Il mulino si trova sul lato est della via, lungo il tracciato della antica strada che da Torrechiara raggiungeva Langhirano e, da qui, il valico del Lagastrello e il Monastero di Linari ed è inserito in una corte chiusa, con orientamento nord-sud caratterizzata da un androne a volta e da una torre colombaia sul fianco orientale che sovrasta il canale di scarico delle acque nel torrente Parma, diramate dal sovrastante Canale di San Michele. Il locale delle mole, ancora esistente e perfettamente restaurato presenta due palmenti. Nella mappa catastale del 1823 è descritto come mulino e follo intestato al mugnaio langhiranese Pietro Costa. Nella carta idrografica del 1888 risulta denominato Re vecchio e presenta mulino e brillatoio. Il complesso, abbandonato per decenni, è stato restaurato in maniera magistrale dalla Famiglia Taormini negli anni Novanta del Novecento.
Poco oltre il Mulino del Piano si incrocia la traversa che permette di raggiungere via Berlinguer e, seguendone il tracciato, di raggiungere via Tommasicchio. Percorrendola in direzione sud, si costeggia il greto del torrente Parma fino a sbucare in via Salvador Allende. Quando la strada curva in direzione ovest un percorso pedonale permette di giungere all’altezza del ponte per Lesignano e, superatolo, di costeggiare ancora il torrente per 500 metri e immettersi sulla destra in via Bocchialini. Al numero 7 si trova il Museo del Prosciutto.
Il Museo è ospitato nel complesso restaurato dell’ex Foro Boario, suggestiva architettura rurale del 1928, storicamente destinata alla contrattazione del bestiame.
Organizzato in otto sezioni, il percorso di visita al Museo inizia dal territorio, con la descrizione dell’agricoltura parmense, per poi passare alla sezione dedicata alle razze suine, alla loro diffusione nei vari continenti e alle varietà utilizzate per la produzione del prosciutto di Parma. Un tavolo interattivo permette di esplorare la figura del maiale nella mitologia e nell’arte, nella caricatura, nella musica, nella filatelia e nella numismatica, nell’editoria e nella cinematografia, nell’oggettistica di uso quotidiano.
La ricca sezione dedicata al sale racconta la storia di questo importantissimo strumento di conservazione degli alimenti, che grazie ai pozzi presenti sul territorio, favorì nel tempo lo sviluppo dell’arte salumiera. Vi è esposta una raccolta di sali provenienti da tutto il mondo e un raro
filmato sulla estrazione del sale dai pozzi di Salsomaggiore.
La quarta sala è dedicata alla norcineria e raccoglie, oltre a numerosi documenti storici sull’attività della macellazione dei suini nei secoli, un ampio campionario di antichi oggetti impiegati da generazioni di norcini per la lavorazione delle carni.
Le restanti sezioni presentano gli altri salumi tipici del territorio parmense, approfondiscono il tema della gastronomia e dell’impiego del prosciutto in cucina, con la ricostruzione di una bottega da salumiere di inizi Novecento, narrano, anche attraverso testimonianze in video, le tecniche di lavorazione del prosciutto e la struttura di un prosciuttificio, presentano infine l’attività del Consorzio del Prosciutto di Parma, che garantisce la qualità di questo straordinario prodotto noto e apprezzato in tutto il mondo.
Conclude idealmente la visita l’assaggio alla Prosciutteria del Museo e al negozio dei prodotti d’eccellenza del territorio.