Langhirano dalle origini – di Baldassarre Molossi

Home/Assaggi/Langhirano dalle origini – di Baldassarre Molossi

Testo della relazione tenuta dal direttore della «Gazzetta di Parma» Baldassarre Molossi il 29 maggio 1966 a Langhirano in occasione della «Prima Festa del Prosciutto» alla presenza del sottosegretario on. Malfatti, delle Autorità e del pubblico convenuto al Teatro Nuovo.

Eccellenze, signore e signori,

ci troviamo oggi a Langhirano, capitale del prosciutto e porta d’oro della Val Parma, per celebrare la prima festa di quella rara prelibatezza gastronomica che è uno dei prodotti più preziosi della vostra terra.

Veramente il programma ufficiale della manifestazione parla di festa del «dolce prosciutto» e io vi confesso che sulle prime non ho nascosto i miei dubbi e le mie perplessità per questo aggettivo — dolce — che io considero pleonastico e superfluo perché per me, come certamente per voi che mi ascoltate, il prosciutto, quando è tale, deve essere naturalmente dolce; ma giustamente mi è stato fatto osservare che con la concorrenza degli altri prosciutti che arrivano dall’estero e da altri luoghi d’Italia, è giusto, è logico, è pertinente che Langhirano insista sulla qualità del dolce prosciutto, perché un prosciutto più dolce di questo non esiste.

Come molte grandi storie italiane, anche la storia del prosciutto è una storia povera e semplice. Il prosciutto, come tale, è sempre esistito fin da quando esiste la fame dell’uomo; ma la attività di salatura e stagionatura su larga scala non ha più di un secolo di vita. Cominciò dapprima in forma familiare, poi diventò artigianale ed infine industriale. Fino agli anni della prima guerra mondiale la fama del prosciutto non usciva dai confini della provincia. Nei primi anni del dopoguerra — ricavo queste notizie da una recente relazione del vostro concittadino avv. Piero Ugolotti, presidente del Consorzio volontario del prosciutto — con le calate dei primi gruppi di gente da Milano e da altre città vicine, il prosciutto di Langhirano cominciò a conquistare i mercati del Nord Italia. Ma il boom, l’esplosione del prosciutto avvenne soltanto in questo secondo dopoguerra: oggi il prosciutto va in tutto il mondo.

Ma del prosciutto e dell’uso dietetico di esso vi parlerà con la sua competenza il prof. Ugo Butturini, per cui è tempo che io mi attenga al tema che la cortesia degli organizzatori mi ha affidato e cioè «Langhirano dalle origini».

Cominciamo dal nome di Langhirano. È fama che in tempi remotissimi vi esistesse un lago di origine glaciale chiamato Orano, prosciugato il quale, naturalmente o dall’arte degli uomini, il luogo fu reso abitato e si chiamò prima Lagorano, poi Anghirano e infine Langhirano.

Non abbiamo riferimenti precisi, ma possiamo immaginarci la vita di Langhirano fino all’anno Mille, nell’epoca che in un recente saggio Indro Montanelli e Roberto Gervaso hanno chiamato «L’Italia dei secoli bui»: un paese di poche decine di abitanti, dediti alla pesca, all’agricoltura, alla pastorizia e ai piccoli commerci e probabilmente soggetti alle frequenti scorrerie della gente armata di passaggio.

Nell’alto Medioevo Langhirano servì di borgo al castello di Mattaleto, da cui poi dipese ecclesiasticamente per moltissimo tempo ancora. Abbiamo notizia che nel 1116 nel paese comandavano i monaci benedettini di Canossa e più tardi la Camera imperiale. Nel 1186 il territorio di Langhirano passò sotto il dominio del Vescovo di Parma, Bernardo, e dei suoi successori. Nel 1233 il vescovo Grazia costruì a Langhirano un palazzo per il Podestà. Nel 1352 sorse in paese l’ospedale di San Giacomo o di Santa Maria che rimase in funzione sino al 1492, anno in cui fu unito all’Ospedale di Parma. Nel 1512, dopo alterne vicende e diversi possessi, la cittadina fu acquistata da Papa Giulio II che donò la terra di Langhirano a Galeazzo Pallavicino al quale ne confermò poi il dominio Leone X. Ma in seguito ritornò al Vescovo, il quale vi tenne parte della giurisdizione sino a che fu poi in vigore negli Stati parmensi il decreto imperiale abolitivo dei feudi. II conte Antonio Garimberti, cavaliere molto amato dal Duca Ranuccio II, ne ebbe da lui la giurisdizione feudale: con titolo di contea. In seguito, con la cessazione dei feudi, Langhirano e il suo territorio seguirono la sorte del ducato di Parma.

Vi potrà interessare sapere come Langhirano veniva descritto da uno storico dell’Ottocento [Lorenzo Molossi, Dizionario topografico dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, Parma, 1832-34], ai primi di quel secolo, con un libro ormai introvabile ma che tuttavia continua ad essere saccheggiato dagli storici contemporanei: «La posizione sua – dice dunque il cronista di quegli anni — è malsicura, in quantoché è soggetta all’inondamento della Parma. Talvolta vi strabocca pure il Rio Scaglia da cui Langhirano è traversato È luogo di molto commercio come fu sempre. Vi si fa da secoli ogni lunedì e – vorrei aggiungere, vi si tiene ancora oggi — un florido mercato di granaglie, bestiame, selvaggina, tartufi, cuoi e altro al quale concorrono molti abitanti della vallata della Parma. Grande specialmente — continua il cronista dell’800 – vi è lo spaccio del granoturco, di cui si provveggono anche i confinanti montanari della Toscana. Nell’inverno vi è importantissimo il traffico dei maiali. Nei giorni 25-26 di luglio havvi una fiera d bestiame e di grani e un’altra accade la prima domenica ed il successivo lunedì di ottobre. Essa – dice sempre i1 cronista citato è di minore importanza ma di maggior allegria, correndovi molti parmigiani che tripudiano assai bene con quei giovialoni abitanti».

«La popolazione del capoluogo  ripeto: sono dati dei primi dell’Ottocento – è di 500 abitanti. Vi sono 97 case e non oche assai comode. Primeggia fra tutte per ampiezza e posizione quella della famiglia Montali e poscia quella del vescovato e del sig. Giuseppe Ugolotti, già podestà del luogo. Havvi scuola primaria, medico condotto, due farmacie e conce di cuoi».

«Le principali produzioni sono il frumento e l’uva, vengono dopo la biada e il fieno, i legumi, le castagne e gli ortaggi. Via abbondano buoi, porci e pecore, di cui si fa un bel traffico e nel mercato di Langhirano e in quelli dei paesi circumvicini. Si scavano molti e buoni tartufi — non so se si faccia ancor oggi — e si fabbricano eccellenti salati».

«Due volte alla settimana — conclude la cronaca ottocentesca — si reca da Langhirano a Parma, e viceversa, una specie di diligenza, sull’andare di quella di Fornovo, ma non comoda quant’essa».

Sin qui la storia di Langhirano, che dal 1800 in poi si confonde con quella di Parma e della nuova Italia nata dal Risorgimento.

Langhirano non vanta particolari glorie architettoniche. Sono comunque da ricordare la facciata della chiesa parrocchiale, l’orologio dell’Assunta con il portale, Casa Stocchi ed il Palazzo comunale. Questo Palazzo forse ebbe le sue origini nel XIII secolo quando il Vescovo Grazia costruì un palazzo per il Podestà. Prese la forma attuale negli anni fra il 1550 e il 1600 e da allora in poi — salvo i restauri che l’hanno abbellito — non subì sostanzialmente alcuna altra modifica. È di forma quadrangolare con quattro torri agli angoli e nelle due facciate si hanno rispettivamente tre arcate per piano con capitelli e colonne in arenaria. Al piano terreno vi sono gli uffici comunali, mentre al primo piano si trovano gli uffici della Pretura.

Assai pregevoli nel salone in cui il Sindaco ha ricevuto stamane l’on. Malfatti e le altre autorità sono sei quadri di ignoto del secolo XVII-XVIII rappresentanti sei cani tenuti al collare ciascuno da un tartaro: è da notare l’espressione dei cani che da mansueta diventa via via sempre più feroce, secondo la progressione dei quadri. Un’altra opera molto bella è la vecchia sagrestia di Castrignano che si trova nell’ufficio del Sindaco.

Abbiamo visto fin qui la storia e l’arte del paese. Ma Langhirano si raccomanda all’interesse dell’osservatore per un’altra singolare caratteristica che ce la fa cara al nostro cuore. Langhirano, è. infatti, una terra di eroi. Il capostipite leggendario di questa stirpe è Faustino Tanara che fu al seguito di Garibaldi con il grado di colonnello e fece parte della schiera dei Mille che, partiti dallo scoglio di Quarto, risalirono l’Italia dalla Sicilia alle Alpi, inseguendo quel sogno generoso di coloro che volevano l’Italia libera e unita. Il Risorgimento fu l’opera di un’élite e a quell’epopea aristocratica ed eroica il nome di Langhirano resta consegnato per l’eternità grazie allo slancio di Faustino Tanara, che qui si spense, all’ancor giovane età di 45 anni in conseguenza delle ferite riportate in combattimento, lasciando nel più profondo cordoglio, oltre alla vedova e ai teneri figlioletti, tutti i suoi concittadini fra i quali altri valorosi garibaldini langhiranesi.

Sull’esempio di Faustino Tanara il patriottismo dei langhiranesi non si è mai smentito; ne fanno fede i volontari e i Caduti della prima grande guerra, delle guerre d’Africa, del secondo conflitto mondiale e della lotta di liberazione: e lo testimoniano gli eroici Caduti e dispersi di ogni tempo e di ogni luogo decorati al valore: il capitano di complemento Gino Canetti, medaglia d’oro al V.M. caduto il 14 settembre 1943 alle Bocche di Cattaro in un’impresa di grande ardimento che strappò l’ammirazione dei suoi commilitoni;

l’aspirante ufficiale Bruno Ferrari, di Ottavio, medaglia d’argento, caduto a Boscomalo il 14 maggio 1917;

il partigiano Brunetto Ferrari, medaglia d’argento, caduto eroicamente in combattimento sull’Appennino parmense il 20 novembre 1944;

l’alpino Enzo Isi, croce di guerra, disperso sul fronte russo nel tragico inverno 1942-43;

e l’alpino Lodovico Olari, medaglia d’argento, che trovò gloriosa morte sul costone roccioso di Meniak il 21 agosto 1917.

E poiché il patriottismo è l’apice delle virtù civiche, si capisce facilmente come Langhirano abbia potuto esprimere illustri personalità anche nel campo politico e amministrativo. Dinanzi a tutti io metterei l’on. Cornelio Guerci, che fu una delle figure più singolari del Parlamento pre-fascista. Deputato per cinque legislature, amante schietto ed entusiasta delle arti, coltivò l’amicizia di D’Annunzio, Verdi, Toscanini e Pizzetti ed ebbe dimestichezza con gli uomini politici più rappresentativi della sua epoca. Radicale e laico sino allo spasimo, era intimo di Felice Cavallotti, con cui divise la pensione a Roma e che gli fece da padrino una volta fra le tante che dovette battersi a duello. Per un quarto di secolo il Guerci fu l’enfant terrible di Montecitorio. Aveva preso da suo zio Zvanén, garibaldino, tipo mattacchione e misantropo. Oratore facondo e caustico, il Guerci andò famoso per le sue interruzioni parlamentari. La regina Margherita aveva fatto al maestro di casa questa raccomandazione: «Quando parla l’on. Guerci, telefonatemi!». E quando parlava Guerci, la regina era nella tribuna di Montecitorio ad ascoltarlo. L’on. Guerci era famoso anche per il suo spirito. Un giorno che fu, per esplicito incarico ricevuto, estensore di un telegramma di protesta al Ministero dell’Interno contro lo scioglimento di un comizio, vergò diligentemente il dispaccio e concluse con la frase: «Cucina buona, vino ottimo». In un libro di memorie ha segnato quanto spendeva per una campagna elettorale nel suo collegio: 84 lire in tutto: 4 lire per un telegramma di ringraziamento ai suoi elettori di Calestano e 80 lire per un giro di propaganda in automobile, interrotto da due pannes, senza di che avrebbe speso meno. Ingegnere di valore, Cornelio Guerci, fu il progettista dell’Acquedotto pugliese e del Canale lunense, ma dove maggiormente l’opera sua rifulse fu nel campo agricolo. Le istituzioni agrarie parmensi: la cattedra ambulante di agricoltura (la seconda in Italia dopo Rovigo), il Consorzio agrario ecc. sono state volute da lui. E a lui si deve se le prime fabbriche di pomidoro sono sorte e si sono affermate nel Parmense. Morì alla tarda età di 93 anni. Saputa la notizia, Vittorio Emanuele Orlando così telegrafò: «Cornelio Guerci onorò il Parlamento italiano nella più grande storia di esso. Fui fiero della sua amicizia».

Un altro figlio illustre di Langhirano è Luigi Pellegri che qui nacque nel 1821. Chimico e farmacista, uomo giusto e leale, fu sindaco di Langhirano dal 1869 all’80 ed a lui si devono ottime iniziative per opere di miglioria morale ed economica del paese. E mi pare che in segno di riconoscenza il paese abbia dato il suo nome ad un viale di Langhirano. Il padre Giovanni, fu anch’esso sindaco di Langhirano dal 1831 al 1843 e il fratello dott. Faustino, notaio e deputato al Parlamento, ricoprì in Parma diverse cariche: fu presidente della Cassa di Risparmio e, in tale veste, fondò l’orfanotrofio maschile Vittorio Emanuele II.

Da ricordare infine l’avv. Ottavio Ferrari che fu segretario generale della Presidenza delle Finanze del ducato di Parma sotto il Governo di Maria Luigia.

Anche in campo letterario e artistico Langhirano può vantare i suoi quarti di nobiltà: basti pensare a Bernardino Zaccagni, il sublime architetto della Steccata e del nostro bel San Giovanni, di San Benedetto e del portico dell’Ospedale vecchio a Parma;

al dott. Clodoaldo Leoni, medico di vaglia ed insigne letterato: i suoi scritti furono assai apprezzati e specialmente le «Voci e maniere di dire», accettate dall’Accademia della Crusca;

e al musicista Aristo Cassinelli, che percorse una splendida carriera di primo oboista nelle maggiori orchestre dei più reputati teatri del mondo. Inarrivabile virtuoso dello strumento (famoso nella «cavata» ne tirava fuori «assoli» e concerti prodigiosi) fece parte dell’orchestra di Toscanini in tournée con il Falstaff e fu l’oboe preferito di Wagner, che lo chiamava «la mia prima donna» e che varie volte lo invitò a Vienna a suonare per l’Imperatrice.

In campo medico sono poi da ricordare Francesco Cecconi, famoso chirurgo nel 1700 e Francesco Gennari, medico, egli pure del ’700.

E dulcis in fundo, non possiamo dimenticarci di Renata Tebaldi: e questo sarà l’unico nome che farò dei viventi, perché altrimenti dovrei ricordare il senatore Giacomo Ferrari, già sindaco di Parma ed ex ministro che oggi è qui presente fra i suoi concittadini, l’avv. Giacomo Miazzi presidente dell’Accademia parmense della cucina, anch’egli presente in sala, e chissà quanti altri.

Per la verità Renata Tebaldi è nata a Pesaro, ma dall’infanzia sino al 1959 risiedette abitualmente a Langhirano, per cui il paese la considera come sua concittadina perché qui ella trascorse la fanciullezza, l’adolescenza e la giovinezza e fu qui che intraprese gli studi al Conservatorio di Parma che poi la innalzarono alle più alte vette della gloria canora. Ancora oggi, Renata Tebaldi mantiene i suoi affetti più cari in Langhirano con i suoi parenti che abitano la casa nella piazza principale e con i suoi cari estinti che sono tumulati nella tomba di famiglia del cimitero di Mattaleto, fra i quali la sua cara mamma per la quale — in omaggio alla grande cantante — le Autorità di Nuova York provvidero alla traslazione della salma. Reduce dai consueti e ricorrenti successi internazionali, la Tebaldi non manca mai, almeno due tre volte all’anno di ritornare a Langhirano, che ella considera la sua piccola patria e il suo secondo paese natale per adozione e per ospitalità.

Dopo tante glorie, passate e presenti, non vi dispiacerà se noi oggi celebriamo una gloria assai più casalinga e modesta: il prosciutto. Il passaggio potrà apparire brusco, ma io sono del parere che dove si mangia bene c’è civiltà. E il prosciutto è il re della buona tavola. Il re, vorrei dire, di quella cucina sana e genuina che noi vogliamo difendere e conservare: e un prodotto più genuino del prosciutto non esiste.

Tutti sanno che il prosciutto e il culatello sono i due prodotti più pregiati che si ricavano dai nobili lombi del maiale. E tutti e due possono nascere soltanto in zone tipiche e ristrette: il culatello per maturare ha bisogno della umida nebbia della Bassa parmense fra Zibello, Busseto e Polesine; e il prosciutto deve essere messo a balia lungo la valle del torrente Parma che porta giù dai monti un’aria speciale. «L’aria dolce è il nostro segreto — dicono i produttori — dal mare l’aria della Versilia si infiltra nella Val di Magra che è uno stretto canale fra le Apuane e l’Appennino ligure: lì comincia a perdere il salato, mentre acquista un po’ del profumo dei pini e degli uliveti. Supera il Passo della Cisa, dove i monti sono di natura carsica e quindi asciugano l’eccesso di sapore marino. Poi, venendo giù dal crinale appenninico, prende dai castagneti. Dopo aver percorso 70 chilometri dal mare e almeno 30 dal crinale, l’aria arriva nella Val Parma in uno stato ottimale per il prosciutto. Appena più in là, non va bene».

Prima di concludere vorrei dire ancora due parole sul maiale che è un po’ l’animale sacro del parmense: non so se abbiate mai fatto caso a questa curiosa circostanza e cioè che in dialetto parmigiano il maiale si chiama gosén da vivo, ma quando è morto si chiama nimel. Nimel: cioè, l’animale per antonomasia.

Ma ormai la mia chiacchierata è finita e del maiale, del prosciutto e dell’uso dietetico di esso, vi parlerà il prof. Ugo Butturini. L’amicizia e la stima che ho per lui, non mi fanno velo se dico che il prof. Butturini, oltre che un clinico illustre, degno continuatore della scuola del suo grande maestro prof. Domenico Campanacci di cui egli è l’allievo prediletto, è anche uno scienziato di livello europeo per le ricerche sul sangue che egli conduce a Parma per conto dell’Euratom.

Vi ringrazio dunque per avermi ascoltato, ringrazio gli organizzatori che mi hanno invitato qui e chiudo al grido di «Viva Langhirano e il suo Prosciutto».