Il taglio del prosciutto

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Di Claudio Benporat

[…] Il prosciutto che acquistiamo quotidianamente dal salumaio oggi viene tagliato, o meglio affettato, a macchina. Fette più o meno sottili, dallo spessore uniforme, se possibile prive di grasso, ben differenti da quelle ottenute con un taglio manuale grazie all’impiego di un lungo coltello dalla lama stretta e sottile. In entrambi i casi la coscia del maiale viene tagliata longitudinalmente, seguendo il percorso delle fibre e fino ad arrivare all’osso centrale.
In un passato remoto, quando il coltello veniva manovrato con ben maggiore abilità e la professione del trinciante nobilitava quello che si definiva il taglio artistico delle carni, la gestualità dell’atto assumeva un’importanza primaria nel contesto del banchetto cinquecentesco.
Il trinciante era il cortigiano incaricato di tagliare ogni vivanda che lo scalco sceglieva tra quelle poste sulla tavola. Grandi pezzi di arrosto, volatili, selvaggina di pelo e di piuma ma anche pasticci, pesci, frutta venivano sezionati o affettati dalle sue abili mani che impugnavano coltello e forcina a due rebbi. Ritto in piedi dinanzi al Signore o all’ospite d’onore egli operava lungo tutto l’arco del pasto per ridurre il cibo in piccoli pezzi che i commensali portavano alla bocca con le mani.
Il prosciutto cotto o crudo, con salsiccioni e mortadelle di differenti sorti, veniva portato sulle tavole all’inizio del pasto nel corso di quello che si definiva comunemente il servizio iniziale di credenza o antipasto. Lo Scappi lo consiglia

«di porco giovane, et non troppo salato, et quando si taglia ha da render perfetto odore, et quando non passerà un anno e mezo, essendo stato ben conservato, non perderà la sua perfettione, et se sarà fatto di porco giovane di montagna sarà sempre migliore de gli altri» (1).

Il suo taglio risultava particolarmente faticoso oltre che laborioso in quanto la coscia del maiale era sostenuta in aria dal trinciante che, a braccia stese, la imbroccava nella mano sinistra con la forcina di maggiori dimensioni.
Seguiamo ora nei dettagli questa complessa manualità così come ci viene descritta per la prima volta dal Cervio (2):

«Come si trincia un prossutto intiegro. Li Prossutti si sogliono fare di zigotti di Porco salvatico, overo domestico, e sono molto buoni quando sono della bona sorte; volendo adunque trinciare il prossutto tu pigliarai la forcina grande; e il coltello grande, e lo imbroccherai giusto nella forcina, acciò che quello non penda da nissuna banda, e lo leverai in alto con gratia, ponendoti giusto con la persona, tenendo il prossutto volto con il piede di sopra, e con il taglio del coltello volto verso di te, tu li levarai la codica con la grassa de intorno, e tutta la carne rancia, se ve ne sarà, girando sempre la forcina intorno, per accommodar il prossutto al taglio del coltello, facendo che quello trincia netto e polito da ogni bruttura sopra la forcina. Ma nota che sono molto diversi i gusti de gli huomini, perchè alcuno li piace il prossutto tagliato in fette grandi, ed altri in picciole, ad altri grasso, ad altri magro, e ad alcuni altri poi li piace che sia trinciato tutto, e minuto come la vaccina. Adunque questo sarà ad arbitrio del trinciante di trinciar il prossutto secondo il gusto del suo Signore, e di fame poi quante parti li sarà di bisogno; questo ti deve bastare in havere inteso come se imbrocca, e come si trincia il prossutto sopra la forcina».

Il prosciutto intero – a quel tempo più piccolo di quello attuale in quanto i maiali erano allora di taglia inferiore – veniva infilzato dalla parte più larga, quella più polposa della coscia, tenuto sollevato in posizione verticale e tagliato longitudinalmente dall’alto verso il basso in modo che le fette venissero a cadere, con ritmo costante, nel piatto sottostante.
Una manualità del tutto differente viene illustrata qualche decennio più tardi dall’Evitascandalo, trinciante e scalco romano già al servizio di Vito Dorimbergo, ambasciatore austriaco a Venezia. Nel suo Dialogo del trenciante egli consiglia di porre il prosciutto disteso sul piatto, saldamente bloccato sulla sinistra con una forcina dalla parte della coscia, tagliato a spesse fette trasversali larghe quanto richiesto dal Signore, tecnica che consente di troncare le fibre della carne per un risultato più soffice e morbido (3).

«Come si trencia il presutto
… per questo rispetto si deve fare; hora volendo
trenciarlo à fette, scorticato che l’havrete come v’ho detto, gli verrete adosso con la forcina ficcandoglila nel mezzo per tenerlo saldo nel piatto, poi darete un taglio à traverso d’esso presutto, calcando il coltello quanto potrete al basso, e potendo gionger all’osso, e appresso questo taglio, gli ne darete tre altri tanto lontani l’uno dall’altro, quanto vorrete far grosse le fette, e nell’ultimo taglio quando sarete al fondo, storcerete il taglio del coltello in fuori, e tagliando alla parte di sotto, distaccarete le tre fette dal prosciutto, le quali prese con la punta del coltello, l’accomodarete nel tondo, tornate poi à darli tre altri tagli simili alli tre primi, e caveretene tre altre fette, à questo modo continuarete sin tanto che haverete servito, ricoprirete poi il presutto con la sua cotica, e lo mandarete fuori di tavola».

Con Antonio Frugoli, trinciante romano dalla lunga esperienza maturata in Spagna, queste due filosofie sembrano fondersi in quanto egli taglia il prosciutto sia in aria sia nel piatto (4).

«Come si trincia il Prosutto intiero, e un Salame. Il Prosutto quando sarà di Montagna sarà megliore, e così il Salame ancora; questi vanno serviti per antipasto delli refreddi, e perciò sarà bene che il Trinciante sappia come anderanno trinciati in cima la Forcina, in particolare il Prosutto quando sarà cotto in latte, ò vero in vino con herbe di buon odore dentro, e netto dalla codica, e parti rancide, con gelo di chiara d’uova sopra, e senza ancora, e con verdura sotto, egli si servirà della forcina grande, e del Coltello mezzano, e l’imbroccherà dalla parte grossa del sopracoscio del Prosutto, e che l’osso della coscia venga in mezzo alli due rampi della Forcina, e quando l’haverà in aria in cima la Forcina, la parte verso il piede resti di sopra, e incomincerà à tagliarne una, ò due fette per tondo dalla parte dove sarà meno grasso, e se ne farà sei Tondi, e li servirà senza sale attorno, e li farà porgere dove anderanno serviti; che sarà quanto basta per partire e trinciare un Prosutto in aria in cima la Forcina, il quale si potrà partire, e trinciare nei piatto grande ancora, e doppo che egli haverà dato il taglio alla fetta che vorrà servire con la punta del Coltello la ponerà nel Tondo che haverà sotto la mano, e così seguiterà per fino à che ne haverà sei Tondi, si come del sopradetto trinciato in aria, e il Salame, mentre che sarà cotto in vino, e partito per metà e servito con verdura sotto, il Trinciante si servirà della Forcina, e Coltello conforme la grandezza del Salame».

MATTIA GIEGHER, [Taglio del prosciutto], da Li tre trattati, Padova, Frambotto, 1639, p. 118.

Alla metà del secolo Mattia Giegher, bavaro di Moosburg, attivo a Padova quale scalco e trinciante della comunità germanica e il suo plagiario Mattio Molinari invertono i termini di questa complicata operazione. I prosciutti vengono tagliati nel piatto e non più in aria, sollevati a braccia tese. Sono imbroccati dal lato più stretto, quello del piede, come esemplificato dalla bella tavola che arricchisce il loro testo, e poi «si taglian nel mezzo d’essi delle fette sottili a guisa di mezza lima, e dato loro un taglio in mezzo, se fosser troppo grandi, si presenteran di mano in mano» (5).
Dall’illustrazione risulta evidente questo taglio leggermente arcuato. Il disegno è tanto preciso da permetterci di seguire i primi quattro colpi di coltello indicati dalle quattro linee curve, indicazioni indispensabili per una corretta posizione del coltello in quanto questo testo è stato composto a fini didascalici, manuale di istruzione per allievi trincianti.
Con la fine del Seicento anche questa nobile arte del trinciare passa di moda. Antonio Latini, celebre trinciante e scalco attivo a Roma e a Napoli è l’ultimo interprete del taglio artistico di salami, mortadelle e prosciutti, questi ultimi lessati in vino, acqua o latte quindi cotti en croute cioè dentro un involucro di pasta. Curioso il fatto che la coscia di maiale venga nuovamente tagliata, a distanza di tanti anni, sollevata in aria, imbroccata dal lato più largo (6):

«Modo di trinciare i Presciutti, Salami, e Mortadelle. E’ costume pratticato da molti, il porre in Tavola i Presciutti, cotti, ò in Vino, e Acqua, ò in latte, e poi posti dentro Cassa di Pasta scoperti, con Ghiacci di zuccaro, mettervi sopra, Cannelloni confetti; onde il Trinciante dovrà levare tutti quei Ghiacci, e Cannelloni, con la punta del Coltello, e non sarà fuori di proposito, che ne faccia cadere qualcheduno ne i Tondini, perché molti gustano del Dolce; gl’imbroccherà poi nell’istesso modo, che ho descritto del Cosciotto dell’Agnello, alzati in aria, e se ne farà quelle fette, che egli vorrà, per far tutti li Tondi, i quali porgerà alli Convitati, senza condirli di Sale, ò d’altro; Riporrà poi il Presciutto, dentro la Cassa di Pasta, e quando vi sieno Salami, ò Mortadelle, benché queste si sogliono tagliare dalla Credenza, nulladimeno, quando verranno in Tavola intiere, cotte in Vino, e spaccate per mezzo, potrà il Trinciante imbroccarne, con la forcina, che stimerà più a proposito, un pezzo, e alzatolo in aria, ne farà cadere qualche fetta ne i Tondi, facendone porgere attorno, con tener sempre il taglio del Coltello, verso il suo Petto».

Le differenti tecniche di taglio del prosciutto, così difformi nell’arco di tempo compreso tra la fine del Cinquecento e la fine del Seicento, ci sembrano rispecchiare il mutare delle mode piuttosto che corrispondere a una progressiva ricerca di praticità e razionalità. Il taglio operato trasversalmente in contrapposizione a quello longitudinale potrebbe avere un suo fondamento logico in quanto spezzava le fibre della carne che nei secoli passati risultavano molto più consistenti di quanto lo siano attualmente perché gli animali venivano allora allevati allo stato semi-brado e appartenevano a una razza che si caratterizzava per il colore della pelle scura e da questa chiamata Nera Parmigiana. Questi animali sono stati sostituiti nel corso del secolo scorso dagli attuali di pelle rosea, dalla carne più morbida, la razza Large White inglese, che meglio si adattano a una alimentazione intensiva costituita dalle rimanenze dei moderni caseifici.
Che si tratti di mode che hanno trovato consensi più o meno vasti alle differenti latitudini del nostro Paese e comunque in altri Stati europei ci viene confermato dall’anonimo autore de L’éscole paifaite des officiers de bouche edite a Parigi nel 1662 dove, tra l’altro, vengono illustrate le varie tecniche per trinciare animali e frutta. Apprendiamo da questo raro testo che il cappone come l’oca si trinciava all’italiana o, in alternativa, alla tedesca con tagli dati in punti e tempi differenti a conferma di due scuole di opposte manualità caratterizzate da proprie gestualità che prendevano nome dal loro Paese di origine.

NOTE
(1) Bartolomeo Scappi, Opera, Venezia, Tramezzino, 1570, Libro I, cap. IX.
(2) Il trinciante di M. Vincenzo Cervio…. Venezia, Tramezzino, 1581, p. 31 v. Francesco Colle, autore del primo manuale del trinciante edito a Ferrara nel 1520 non fa menzione del taglio del prosciutto.
(3) Dialogo del Trenciante di Cesare Evitascandalo Romano… Roma, Vullietti, 1609, p. 57.
(4) Discorso d’Antonio Frugoli Lucchese sopra l’officio del Trinciante…, Roma, F. Cavalli, pp. 37-38.
(5) Mattia Giegher, Li tre trattati, Padova, Frambotto, 1639, p. XI; Mattio Molinari, Il Trinciante di Mattio Molinari, Padova, Pasquati, 1636 (?), cap. V.
(6) Antonio Latini, Lo scalco alla moderna, Napoli, Parrino Mutii 1692, tomo I, p. 56.

Tratto da: “Appunti di gastronomia” n. 11, 1993, pp. 9-15.