La tradizione norcina della lavorazione delle carni suine nel tempo

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Di Daniela Brignone

C’è una regione d’Italia alla quale, più che ad altre, le caratteristiche morfologiche del territorio, nell’alternarsi di zone montuose, collinari e pianeggianti, forniscono la principale giustificazione ai fenomeni di sviluppo economico, insediamento umano e depressione sociale che hanno caratterizzato la sua storia. Quella regione è l’Umbria. Di questa, e dell’ulteriore microcosmo racchiuso al suo interno, rappresentato dall’alta valle del fiume Nera, ci occuperemo nel presente studio, per mettere a fuoco i percorsi sociali ed umani che furono alla base della formazione di forza lavoro specializzata nella lavorazione di carne suina e della sua migrazione verso i mercati urbani di Firenze, ma soprattutto di Roma.

L’Umbria fisica, economica e sociale tra il XIX e il XX secolo
Al momento del passaggio dallo Stato Pontificio allo Stato Italiano, l’Umbria presentava un quadro economico statico e chiuso, determinato dalla prevalenza della grande proprietà terriera, accentuata dalla liquidazione dei beni dell’asse ecclesiastico, e del contratto agrario della mezzadria, inteso e applicato in senso penalizzante per i coloni . Le  attività industriali più diffuse, tutte ancora connesse all’agricoltura, consistevano nella trasformazione di prodotti alimentari o nella lavorazione di cotone, lana, lino e seta, con l’uso prevalente dei telai a domicilio nelle campagne e non in stabilimenti produttivi organizzati. L’attività tipografica e altre produzioni artigianali esaurivano il quadro delle occupazioni della popolazione locale, altrimenti dedita alla pastorizia nelle zone collinari e montane.

Tra la fine del XIX secolo e i primi quindici anni del secolo successivo, l’economia umbra subì un processo di grande rinnovamento e di trasformazione, con cui si gettarono le basi dell’assetto agrario ed industriale attuale.
Anche il quadro dei rapporti agrari subì un profondo scossone nel periodo a cavallo tra i due secoli, grazie al dissolvimento di molte grandi proprietà, alla riduzione delle aree destinate al pascolo, all’ampliamento delle superfici a foraggio e a seminativi arborati, con la conseguente riduzione delle colture cerealicole dominanti fino ad allora.

I benefici dell’ondata di rinnovamento economico – visibili nella diminuzione del tasso di mortalità e nel miglioramento della situazione occupazionale – furono accompagnati dall’emergere di alcuni problemi che rimarranno a caratterizzare strutturalmente l’economia e la società umbre negli anni a venire.  Tra questi, il più grave fu senz’altro lo squilibrio innescato tra le zone urbane d’insediamento industriale e le aree collinari e montane, e del Nursino in particolare, destinate ad un impoverimento progressivo per il declino delle attività produttive locali e la selvaggia distruzione del patrimonio boschivo, un tempo fonte di reddito per le popolazioni locali. Queste ultime andarono così ad ingrossare le fila dell’emigrazione – seppur con diverse mete e tempi più brevi di permanenza fuori dal paese d’origine – che nei primi quindici anni del Novecento riguardò più di un quarto della popolazione umbra.

Focalizzando l’attenzione sull’area geografica ed umana rappresentata dall’estremo corno sudorientale dell’Umbria, l’analisi della zona parte necessariamente dalla ricognizione delle tipologie di proprietà diffuse sin dai tempi più remoti, di cui è rimasta traccia fino ai nostri giorni: a differenza di altre aree, ed esattamente di quelle settentrionali, dove dominante, all’inizio dell’Ottocento, era la proprietà ecclesiastica, nelle zone montane sudorientali prevaleva la proprietà collettiva, affiancata dalla proprietà privata…

1 L. Bellini, La vita nelle campagne dall’Unità alla fine del secolo XIX, in L. Bellini, Scritti scelti. Aspetti e problemi economici dell’Umbria nei secoli XIX e XX, a cura di L. Tittarelli, Perugia, Editoriale Umbra, 1987, pp. 50-52.

2 F. Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal 1884 al 1962, Torino, Einaudi, 1975.