Di Romeo Medici
Premessa
Per quanto la storia dell’uomo sia stata legata alla condizione rurale fino all’avvento della rivoluzione industriale, una storia della civiltà rurale o dell’uomo rurale deve ancora essere scritta, come è stata scritta la storia economica, politica, artistica, delle scoperte ecc. Eppure si può ben dire che la matrice di tutti gli aspetti spirituali e materiali della storia dell’uomo per millenni è stata la condizione rurale, di vita strettamente legata alla terra per la sopravvivenza.
Questo non significa che, con l’avvento dell’epoca industriale, l’uomo abbia perso il rapporto con la terra, che permane ma assume un aspetto diverso. Mentre prima tale rapporto era necessario e generalizzato, oggi, con la divisione del lavoro, le nuove tecniche applicate in agricoltura e la maggiore produttività della stessa, e, parallelamente, lo sviluppo delle attività secondarie e terziarie, si è andati via via verso la specializzazione professionale per settore di attività economica e, quindi, verso un rapporto di interdipendenza settoriale, superando il rapporto di dipendenza quasi esclusiva che vi era stato da sempre nei confronti della terra, della sua coltivazione e dell’allevamento del bestiame (fisiocrazia).
Nell’ultimo secolo, la popolazione attiva agricola, in provincia di Parma, è passata da oltre l’80% a circa il 5% e la popolazione rurale (che risiede nei centri minori, nei nuclei e nelle case sparse), nello stesso periodo di tempo, è scesa dal 65% a circa il 20% attuale.
Un secolo fa, inoltre, molti componenti della popolazione non agricola e non rurale erano di fatto direttamente impegnati nell’agricoltura e nel mondo rurale, mentre oggi molte persone residenti in zone rurali (centri residenziali, seconde case ecc.), in effetti non hanno nulla a che fare con l’attività agricola, avendo esse scelto semplicemente di abitare in un ambiente rurale, invece che urbano, per una preferenza personale. Se non fosse per queste persone, oggi la popolazione residente rurale sarebbe ancora più rarefatta. Questa rarefazione ha assunto dimensioni preoccupanti nelle zone più disagiate, più povere e periferiche dell’Appennino.
Le persone interessate all’esodo hanno cambiato senza difficoltà lo stile di vita ma dovrebbero essersi portato dentro le tradizioni e, conservarne il significato, sentirne l’implicazione nella coerenza di vita, e farne, a loro volta, la trasmissione ai figli. Anche il ritorno ai propri luoghi d’origine è dettato da questo legame più profondo che ha a che fare con l’uomo in quanto tale più che con la condizione esteriore di vita, che ovviamente rimane faticosa e disagiata, tuttora, anche se molti lavori agricoli di un tempo non vengono più fatti o possono essere meccanizzati.
Stili di vita e tradizioni nella società rurale non sono separati tra di loro: entrambi si sono formati nei tempi lunghi, nella realtà quotidiana, si intrecciano nei modi di vivere, di rapportarsi con gli altri, di praticare le proprie credenze, di mangiare, di vestire, di considerare il lavoro agricolo, il bestiame, la terra, gli eventi naturali ecc.
Solo quando i soggetti escono da questa realtà avviene una separazione tra stili di vita e tradizioni, per cui in gran parte i primi cadono nel senso che vengono abbandonati per assumere quelli della nuova condizione professionale e sociale, mentre le seconde permangono, dimostrando in misura maggiore o minore, a seconda delle persone, di essere un elemento vitale e costitutivo del proprio essere e viene data ad esse anche manifestazione esteriore, ogniqualvolta la nuova situazione di vita lo permette (comunità di emigrati all’estero, tenute insieme prima di tutto da una comunanza di tradizioni).
Questo lavoro sul rapporto particolare tra mondo rurale e uno degli animali più caratteristici dello stesso, il maiale, si sofferma soprattutto su tre aspetti: il primo riguarda la società rurale che, nel momento stesso nel quale ha trovato in questo animale la fonte principale per soddisfare al suo fabbisogno di proteine nobili, perfettamente idoneo per una economia povera, ha anche portato la lavorazione delle relative carni, nell’intento di conservarle per distribuirne il consumo lungo tutto l’arco dell’anno, a un livello di eccellenza, di autentica civiltà alimentare, tra i più significativi nella storia e nella cultura dell’alimentazione umana.
Il secondo aspetto considerato è quello del rapporto tra agricoltura e tradizioni: oggi si deve certamente ripensare all’esperienza del mondo rurale, per riscoprire gli insegnamenti alimentari di una società che è vissuta in strettissimo contatto con la natura, traendo dalla stessa risorse e salute, per le quali, al contrario, la società moderna sembra fare spesso più affidamento su mezzi e forme anche molto distanti dalla natura stessa.
Oggi è più difficile riuscire a capire il rapporto con le tradizioni anche per il fatto che la cultura attuale del business tende a sostituirsi in tutto alla cultura delle tradizioni, dei suoi valori e dei suoi prodotti. Così detto rapporto è stato troppo drasticamente rotto e troppo facilmente dimenticato, con il rischio di perderne il ricco patrimonio di cultura e di mestieri.
Il terzo punto sarà quello delle tradizioni agroalimentari nella prospettiva dell’agricoltura, dell’industria del settore e dell’alimentazione del futuro nella società industriale e post-indunstriale, un futuro in gran parte da inventare.
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